venerdì 7 gennaio 2011

Iddu (ovvero l'isola che non c'è in realtà esiste)

Quanto sono lunghi 5 km? Forse la distanza da casa al luogo di lavoro, o forse la lunghezza di un viale di una grande città, o magari la distanza tra due svincoli in tangenziale. Nella vita di tutti i giorni 5 km sembrano davvero pochi, inezie.

Eppure in mezzo al Tirreno c'è un luogo, un fazzoletto di terra, un puntino nelle carte geografiche (o per essere moderni in Google Maps), un'isoletta, che in soli 5 km x 5 km racchiude un mondo meraviglioso, un universo di bellezza e semplicità, un concentrato di Natura.
Naturalmente l'unico modo per raggiungere questo paradiso è via mare; da qualunque lato vi avviciniate questa isola vi apparirà come un triangolo perfetto, generalmente sormontato da uno sbuffetto di fumo biancastro.
Man mano che la distanza si riduce il triangolo diventa sempre meno perfetto e si arricchisce di dettagli: profondi canaloni scavati nei ripidi fianchi, coste scoscese, creste aguzze. E qualche puntino bianco a segnalare la presenza di case, di esseri umani.


In questa chewing-gum di terra attaccata su un mare sempre in movimento ci sono tre centri abitati, per un totale di 400 abitanti: a est ci sono i due agglomerati più grandi, chiamati San Vincenzo e Piscità, collegati tra di loro da due strade principali lunghe 2 km.
Nel lato opposto dell'isola si trova il centro di Ginostra, un agglomerato di case in cui vivono poche decine di persone, isolate dal resto dell'isola senza nessuna possibilità di collegamento via terra; e spesso e volentieri senza possibilità di collegamento marittimo vista l'assenza di approdi che rende impossibile lo sbarco nelle giornate di mare mosso. Poche decine di persone che, per scelta o perchè così è da sempre, vivono su un'isola nell'isola: isolati dal mondo...in un luogo dove l'energia elettrica è arrivata solo pochi anni fa.
A meno che non avete deciso di vivere anche voi eremiti nella piccola Ginostra, la barca punta decisa verso est, dove sembra esserci un piccolo porticciolo; in realtà chiamarlo porto è esagerato...piuttosto una piccola striscia di cemento che si allunga sulla costa.
Scesi dalla barca notiamo subito qualcosa di anomalo, qualcosa che stona rispetto a quello che siamo abituati a vedere nelle nostre città...ah, ecco cos'è...non ci sono automobili. D'altronde cosa te ne fai dell'automobile in un luogo dove esiste un'unica strada asfaltata, lunga solo 2 km?! Piuttosto il molo è pieno di lape (cioè le Api della Piaggio), scooter, macchinette elettriche.
Subito di fronte a noi appare la montagna (da queste parti viene chiamata Iddu), tanto verde e rigogliosa alla base, quanto grigia e desolata in cima; cima da cui continua ad alzarsi quel pennacchio bianco, magari sorprendente per chi non è abituato a vivere su una terra che respira.
Ma io non posso fingermi sorpreso, sono 28 anni che vivo di fronte a un'altra montagna che respira, di quelle che tengono sempre un pennacchio in cima. Il tempo di incamminarsi verso il centro del paese e improvvisamente un tuono...oh no, e io che volevo subito farmi un bagno rinfrescante...eppure il tuono sembra vicino e il cielo è limpido, nessuna nuvola all'orizzonte. Ecco qualcosa a cui non ero abituato; perchè stare a 3 km dal cratere di un vulcano attivo è un pò più rumoroso di viverci a 25 km! Mentre gli ultimi echi del tuono si spengono lontano sul mare ecco che il pennacchio bianco sulla cima diventa grigio.
Eppure ci si abitua presto a questi boati che si susseguono ogni 20 minuti circa, ci si abitua come a tutti i rumori ripetitivi che accompagnano la nostra quotidianità: il treno che passa vicino casa, il tosaerba del vicino, il camion della nettezza urbana.
E così Lui ci ha dato il suo benvenuto (la montagna si chiama Iddu e quindi è un lui)...adesso non rimane che abbandonarci nelle sue braccia. Ci guardiamo intorno e capiamo immediatamente quali sono le due alternative: da un lato il mare, dall'altro la montagna. Siccome siamo ancora accaldati e la giornata è bellissima, cominciamo dal mare. La costa e il mare appaiono un pò diversi da quelli che siamo abituati a vedere sulle copertine dei depliant illustrativi nelle agenzie di viaggi. Se per voi è bello il mare calmo verde e cristallino, che bagna una spiaggia finissima e bianchissima, con le palme e le noci di cocco, allora siete cascati davvero male e siete ancora in tempo ad abbandonare l'isola!
Il mare è blu scuro già a pochi metri dalla costa, si agita e si increspa al primo alito di vento; basta fare un paio di bracciate verso il largo che il fondale non si vede più. Il vulcano si eleva per 1000 metri al di sopra del mare, ma ben 2000 metri al di sotto quindi i fianchi sono molto ripidi, anche subito sotto la superficie del mare.
La costa poi è molto varia, alta e scoscesa in alcuni punti, bassa e sabbiosa in altri. L'importante è superare l'impatto e la novità di trovarsi su una spiaggia completamente nera.
Abbiamo fatto il nostro bel bagno, magari mentre sguazzavamo in acqua ogni tanto ci siamo girati verso la cima a guardare quel pennacchio bianco diventare grigio, e poi di nuovo bianco, e poi di nuovo grigio; ai boati nemmeno ci facciamo più caso. Solo mentre stiamo stesi al sole come un geco (il geco è l'animale simbolo dell'isola) e ammiriamo rilassati la bellezza della montagna, ci accorgiamo di piccoli puntini colorati che si muovono tutti in fila, appena sotto la cima. A quel punto ci viene in mente che se prendere il sole su una spiaggia nerissima è già qualcosa di inusuale, salire sulla cima di una montagna che respira lo è ancora di più.
Salire sul cucuzzolo di Iddu non è molto difficile; innanzitutto bisogna rivolgersi a un centro di guide vulcanologiche e prenotare una visita e poi sarà necessario equipaggiarsi; magari abbiamo con noi solo infradito e costumi. Fortunatamente è possibile noleggiare tutta l'attrezzatura necessaria. A questo punto siamo pronti per salire anche noi in cima. La partenza, sempre 3 ore prima del tramonto, avviene dalla piazza principale del paese, davanti alla piccola chiesa di San Vincenzo.
Le guide ci dividono in gruppetti di venti persone e danno subito a tutti un caschetto e un bastone di canna di bambù; passi per il bastone di cui capiamo subito l'utilità, ma il caschetto a che cosa serve? Magari c'è il rischio di inciampare e cadere sbattendo la testa? Mah, eppure non è una dotazione usuale quando si sale in montagna. Dopo 100 metri di percorso abbiamo già lasciato il paese e la strada sale leggermente, dritta verso Iddu; altri 10 minuti di strada e ormai le case sono un ricordo e basta voltarsi indietro per vedere il paese ai nostri piedi, mentre l'orizzonte comincia ad allargarsi.
Per 1 ora e mezza la salita è piacevole e poco difficoltosa. Magari siamo stati fortunati e la nostra guida è Zazà. Zazà è la guida perfetta: pronto a incitare tutti quelli in difficoltà e a dare consigli per stancarsi di meno; ogni 20 minuti organizza delle brevi pause in cui obbliga tutti a mangiare fichi raccolti dagli alberi che crescono lungo il percorso. Inutile provare a rifiutarsi...Zazà ti infila direttamente il fico in bocca senza lasciare il tempo di protestare...zuccheri, zuccheri per la scalata. Dopo un'ora e mezza raggiungiamo i 500 metri di altezza e improvvisamente, dietro una curva, alberi e arbusti lasciano spazio al nulla; Iddu si trasforma da un rigoglioso giardino a una desolantissima montagna di roccia.
Il sentiero diventa sempre più impegnativo e le pendenze aumentano notevolmente; nel frattempo il sole si abbassa sull'orizzonte e il caldo asfissiante di un pomeriggio di fine estate diventa il pungente fresco di una serata autunnale. E' a questo punto che potremmo essere indotti alla rinuncia; girare i tacchi e tornare indietro sembra una soluzione comoda, soprattutto perchè alzando lo sguardo verso l'alto la cima appare ancora lontanissima. Ma l'immagine di tutti quei puntini colorati in movimento davanti a noi, gente come noi che sta scalando la stessa montagna e ci precede di qualche centinaio di passi, ci da la forza di continuare.
Arriva il momento di una pausa, l'ennesima della lunga camminata; Zazà ci racconta della crisi che colpì l'isola dopo il 1930, quando una devastante eruzione causò un'emigrazione di massa e il conseguente abbandono delle coltivazioni dell'uva e delle olive. Mentre Zazà parla un boato fortissimo riempie l'aria...stavolta è davvero forte! E certo, ormai ci siamo quasi, siamo a poche centinaia di metri dalla bocca dell'inferno (o del paradiso?). Il solito pennacchio scuro si alza dalla cima, stagliandosi contro un pacifico cielo illuminato dalle ultime luci del giorno.
Anche gli ultimi che chiudono il gruppetto si danno una mossa, inerpicandosi con un ultimo sforzo, sospinti più dal rumore, dal desiderio di vederne la provenienza, piuttosto che dalle loro gambe.
Finalmente, dopo 3 ore di camminata, arriviamo in cima a quasi 1000 metri d'altezza; il primo istinto è quello di guardare in basso verso il mare, verso il punto da cui siamo partiti, quasi a compiacerci della nostra impresa. Ma è solo l'istinto di un attimo, perchè subito Zazà ci riporta all'ordine obbligandoci a indossare i caschetti; un altro boato sembra dirci che forse è meglio obbedire...non si sa mai qualche masso incandescente finisca sulla capoccia di qualcuno.
A questo punto comincia lo spettacolo. Immaginate un grande terrazzo su cui potervi affacciare con tranquillità, e cento metri sotto di voi un grande spiazzo pianeggiante su cui si aprono 4 bocche incandescenti, che sputano fumo e fuoco e ceneri e gas, con rumori che vanno dal sordo respiro al ruggito indiavolato, con l'odore di zolfo che entra dappertutto. Zazà ci concede 45 minuti, 2700 secondi a disposizione per affondare occhi, orecchie e nasi in questo spettacolo. Minuti da passare in silenzio, in contemplazione, ad ammirare le quiete fontane di lava zampillare in silenzio e a rabbrividire quando un'esplosione più violenta fa tremare la terra sotto ai piedi e lancia brandelli di terra fusa fin quasi sul bordo della terrazza naturale. In 45 minuti non ho voglia di uscire nè la fotocamera nè la videocamera nemmeno per un attimo; ho solo voglia di stare lì a guardare, voglio che tutto si imprimi nei miei ricordi di neuroni piuttosto che in quelli di silicio. Nessuna foto riuscirà mai a farmi rivivere l'emozione di stare a tu per tu con la Terra. 45 minuti passano in fretta e la bocca è ancora semi-aperta dallo stupore quando Zazà ci tira con uno strattone e col suo fare gentile ma imperioso ci obbliga a prendere la via del ritorno. Ancora con la bocca semi-aperta si torna di nuovo giù, si torna sulla terra dopo aver toccato l'inferno con un dito. Mentre scendiamo affondando nella sofficissima cenere vulcanica in lunghissimi canaloni, abbiamo il tempo di alzare lo sguardo e ammirare il cielo stellato; se la fortuna ci aiuta e siamo in una serata senza luna ne possiamo contare a migliaia di stelle: enormi, luminose, colorate, pulsanti. Dopo 1 ora e mezza di discesa siamo di nuovo nella piazza principale del paese, giusto il tempo di ridare bastoni e caschetti a Zazà, ringraziarlo di tutto e avviarci verso il letto, ultima epica camminata.
Mentre ci dirigiamo verso il meritatissimo riposo ci accorgiamo di un'altra stranezza stupefacente di quest'isola: le strade non sono illuminate, anzi a guardare bene nulla è illuminato. Solo le luci di qualche pizzeria o di qualche abitazione privata a rischiarare le strade. Ma a che servono le luci quando il massimo rischio che si corre nel camminare  quello di urtare accidentalmente un gatto che si sta preparando per una seduta di caccia notturna.
L'indomani mattina ci alziamo ancora un pò indolenziti, e ci chiediamo...e ora? Il bagno l'abbiamo fatto, e in cima ci siamo saliti. Cosa resta da fare in questo fazzoletto di terra? Rimane il passeggio libero, vagare in maniera casuale per tutte le stradine che collegano trasversalmente le due strade principali dell'isola.
Ma una semplice passeggiata sarà all'altezza della magnifica avventura del giorno prima? E allora capita di imbattersi in una graziosa libreria piena di libri che raccontano la storia e le tradizioni dell'isola, libreria che durante i mesi estivi funge anche da piccolo cinema all'aperto. Oppure capita di vedere le scuole elementari e medie, e pensare a quelle piccole aule in cui pochissimi bambini, ancora ignare che quell'isola è il loro mondo, passano le mattine d'inverno. Si può ammirare un campo di calcio regolamentare fatto di cenere battuta, e immaginare quanto sia difficile trovare 22 persone che possano giocarvi.
Si passa davanti al cimitero e si pensa a tutte quelle persone che hanno vissuto una vita intera su quel fazzoletto di terra, senza mai uscirne; o a tutti quelli che invece hanno vissuto da emigranti in continenti più ricchi e terre più vaste, scegliendo poi di venire a morire sull'isola. Oppure si può sorridere davanti a una piccola casa rosa dove negli anni '40 si consumò l'amore tra un famoso regista italiano e una celebre attrice svedese. Si può entrare in un piccolo negozio di alimentari dove campeggia un avviso con scritto "cercasi commesso a tempo indeterminato", e tu pensi che in un momento di crisi come questo è un peccato rifiutare un'offerta del genere. Oppure si può passeggiare nella zona del porticciolo, dove ci si può imbattere nelle facce degli abitanti dell'isola, scurite dal sole e indurite dal sale. Si può semplicemente rimanere a guardare il mare mentre un alito di vento trasporta il rumore di un'esplosione.
La noia non abita da queste parti, nonostante possa sembrarci di avere visto tutto quello che c'era da vedere e fatto tutto quello che c'era da fare; la verità è che il momento di ritornare al porticciolo con le valigie in mano arriva sempre troppo presto. E in quel momento dovremo essere molto rapidi, salire sulla barca a passo deciso, e guardare sempre e solo dritto davanti a noi, verso il mare!
Solo dopo qualche minuto di navigazione, sicuri che ormai la barca ha lasciato il porticciolo, ci voltiamo e riguardiamo quell'isola che adesso è tornata a essere un triangolo perfetto; e la prima cosa che ci viene in mente è quel bigliettino appeso nel negozio di alimentari, quel lasciapassare per una vita diversa.







Per saperne di più su Stromboli:
- l'immancabile pagina di Wikipedia
- foto e notizie sull'attività eruttiva
- il B&B dove ho alloggiato io, trovandomi davvero bene
- un gruppo di guide vulcanologiche, tra cui il mitico Zazà
- un blog che parla di Stromboli, di storia e tradizioni
- una raccolta di foto "turistiche
- splendido documentario sulla vita a Stromboli: parte 1 e parte 2

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